Rumore #4
Anche se non sembra, il governo ha chiare le proprie battaglie. Questo mese parliamo con Rossella Mariuz del nuovo reato di femminicidio, e della destra che abita in noi con Niccolò Fettarappa Sandri.
Il nuovo reato di femminicidio probabilmente non ci salverà
di Sofia Centioni
Ilaria Sula e Sara Campanella sono solo le ultime due donne vittime di femminicidio contate dall’inizio dell’anno. Secondo l’agenzia di stampa Ansa, dal 1 gennaio 2025 le vittime sarebbero undici, mentre per la Dire il numero totale ammonterebbe a nove. L’osservatorio nazionale, stilato ogni anno dal movimento transfemminista Non Una Di Meno, registra un dato ancora diverso: tredici femminicidi, senza contare quello di Sula e Campanella. Secondo il Ministero dell’Interno, le donne uccise dal proprio partner o ex nel primo trimestre del 2025 sono dieci, mentre quelle uccise da un familiare nello stesso periodo sono quattordici. Tra l’altro, fino a dicembre 2024 i dati sugli omicidi volontari pubblicati dal Ministero erano aggiornati ogni settimana; poi, improvvisamente, non solo la cadenza è diventata mensile, ma per tutto il mese di febbraio e marzo questi dati non sono stati pubblicati, come spiega la giornalista Donata Columbro. Successivamente, il Ministero ha annunciato che l’aggiornamento sarebbe avvenuto ogni tre mesi e ha pubblicato i dati completi dall’inizio dell’anno al 31 marzo solo il 3 aprile, dopo alcune polemiche.
Comunque, se una cosa è certa, è che trovare dei numeri precisi che fotografino il fenomeno dei femminicidi in Italia sembra un’impresa titanica (proprio di questo avevamo parlato nella prima puntata di Cronache di Rabbia). Nel podcast, Barbara Leda Kenny, giornalista ed esperta di politiche di genere, aveva spiegato che uno dei motivi principali per cui si registra disomogeneità tra i dati è che in Italia non esiste un reato di femminicidio che, al contrario, permetterebbe di fotografare con più precisione il fenomeno.
Ebbene, le cose potrebbero cambiare, perché lo scorso otto marzo il Consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge con lo scopo di introdurre questa nuova fattispecie di reato. Ad oggi non è ancora possibile leggere il testo, ma attraverso un comunicato stampa ne è stato diffuso il contenuto, che comunque, per entrare in vigore, attende prima il vaglio della Commissione Giustizia (per ora fermo) e poi quello in Aula.
«Da quello che sappiamo, il nuovo Ddl dovrebbe prevedere che “chiunque cagiona la morte ad una donna quando il fatto è commesso come atto di discriminazione o di odio verso la persona offesa in quanto donna, o per reprimere l’esercizio dei suoi diritti, o delle sue libertà, o comunque l’espressione della sua personalità, è punito con l’ergastolo”» spiega Rossella Mariuz, avvocata, vice presidente di Udi Bologna e vice presidente del coordinamento regionale dei centri anti violenza dell’Emilia-Romagna. Si tratta, secondo Mariuz, di una novità importante, perché per la prima volta in un testo normativo (che introduce un nuovo articolo nel codice penale) viene utilizzato il termine femminicidio, che ad oggi si trova solo in qualche sentenza ma che non era mai stato oggetto di una definizione precisa. E, per quanto riguarda la definizione, «è molto importante che sia ben articolata e ampia, perché altrimenti il rischio è di escludere alcuni femminicidi - continua l’avvocata -. Infatti, non sempre le donne vittime di questo reato vengono uccise per questioni sentimentali, per esempio nel caso in cui si vogliano allontanare dal partner o quando ci sono di mezzo tradimenti. Per questo è essenziale che si adotti una definizione ampia e in grado di comprendere tutta la casistica possibile».
Per esempio, una tipologia di femminicidio di cui si parla pochissimo è quello che coinvolge le donne anziane: in questi casi, spesso, a essere centrale è la questione della cura. Dato che nella nostra società gli uomini sono poco abituati a prendersi cura dell’altrə, capita che arrivino a rispondere con la violenza quando la partner (o la madre) invecchia o si ammala. E, in effetti, in base alla definizione fatta circolare dal comunicato stampa, secondo il nuovo Ddl per configurare un reato come femminicidio non contano né l’eventuale legame familiare o affettivo tra l’assassino e la vittima, né il sesso di chi commette l’omicidio. Ciò che conta è il sesso della vittima - che deve essere donna - e le motivazioni per cui è stata uccisa.
Comunque, secondo Mariuz, il vantaggio di nominare il femminicidio in un testo ufficiale è quello di dare concretezza al fenomeno e, quindi, definirne in maniera più precisa e approfondita i contorni. Ma non mancano le criticità, soprattutto se parliamo di un vero "contrasto alla violenza di genere”. Nel testo del comunicato stampa, infatti, si legge che l’introduzione del reato di femminicidio avrebbe come scopo quello di “contrastare la violenza contro donne”, come se l’inasprimento delle pene avesse mai rappresentato un deterrente per chi vuole commettere un reato e ancora più nello specifico un femminicidio. «Noi avvocate dei centri anti violenza, ma non solo, sappiamo bene che, per quanto utile, non basta configurare un nuovo reato di femminicidio per sostenere di voler combattere il fenomeno», continua Mariuz. Sarebbe molto più utile intervenire a livello sociale e culturale, per esempio introducendo l’educazione sessuo-affettiva nelle scuole - come si era detto in qualche newsletter fa - e in generale portando avanti tutta una serie di interventi per sradicare la cultura patriarcale, cosa che al Governo Meloni sembra stare molto meno a cuore che introdurre nuovi reati e aumentare le pene. Per esempio, senza distogliere l’attenzione dal nuovo Ddl, «il testo dovrebbe prevedere una formazione specifica e obbligatoria per lə magistratə, che va benissimo. Il problema è che non è previsto alcun stanziamento di fondi; ma come fai a portare avanti una formazione obbligatoria senza stanziare nessuna risorsa?» si chiede l’avvocata.
Non deve particolarmente sorprendere che il reato di femminicidio sia stato introdotto da un governo di destra che non sembra avere particolarmente a cuore l’emancipazione e i diritti delle donne: basti pensare alle politiche sull’aborto. Un altro esempio è il nuovo Codice rosso con cui le avvocate dei centri anti violenza, ad oggi, lavorano moltissimo. «Grazie al nuovo codice possiamo finalmente chiedere le misure cautelari e mettere in sicurezza le donne - specifica l’avvocata - ma anche questo è stato emesso durante un governo di destra, che spesso tende ad utilizzare strumenti del genere come forma di propaganda; questi temi, infatti, non appartengono alla loro cultura e lo si vede anche solo se si va a guardare dentro ai programmi politici» conclude Rossella Mariuz. E, in effetti, in nessuno dei 15 punti del programma di Fratelli d’Italia si parlava di contrasto alla violenza di genere o si accennava ai diritti delle donne, se non con il focus del sostegno alle famiglie e alla natalità.
L’introduzione di questo nuovo reato, dunque, più che rappresentare un modo per contrastare la violenza di genere, sembra inserirsi perfettamente nella linea dell’attuale governo, a cui piace dare risposte securitarie e giustizialiste a fenomeni emergenziali o che tali vengono percepiti. E l’approvazione del Decreto sicurezza, come quella meno recente del Decreto Caivano, ne sono esempi lampanti.
Uno spettacolo italiano, l’intervista all’autore Niccolò Fettarappa Sandri
di Ludovica Brognoli
«Pronto a morire per la Patria: sei tu». Si inserisce a pennello, nei giorni in cui gli italiani riempiono le piazze del Paese, chi per sostenere e chi per criticare il ReArm Europe, l’ultimo spettacolo dell’autore e attore romano Niccolò Fettarappa Sandri e del cofondatore bolognese di Kepler 452 Nicola Borghesi. Che, infatti, si premurano di chiudere la scena sul palco dell’Arena del Sole, scandendo parola per parola l’inno (al martirio) nazionale, quasi fosse un monito a quella parte di sinistra che pretende, ancora oggi, di essere immune al fascino del patriottismo. Perché Uno spettacolo italiano, oltre a proporre una critica goliardica e psicanalitica delle ossessioni del governo (dall’ipocondria per il migrante, capro espiatorio di tutti i mali, all’imposizione di un’ideologia scolastica post-missina e colonialista), affronta l’ardua impresa di chiedersi cosa oggi significa e, soprattutto, chi davvero è di sinistra. In un’epoca in cui la depoliticizzazione completa dell’esistenza fa pendant con l’iperindividualismo neoliberal, la sinistra, «incapace di individuare i suoi nemici», umiliata e offesa dalle elezioni, è confusa anche sulla propria d'identità e brancola nel buio.
Così, lo spettacolo di Niccolò e Nicola, «pronti a rinnegare tutto e salire sul carro dei vincitori», diventa un invito sarcastico e amaro ad accettare la piccola parte di destra che, un po’ schizofrenicamente, abita ognuno di noi.
Perché, fa notare il duo, se ti devi svegliare ogni giorno alle cinque di mattina per guadagnare la pagnotta e i tuoi vicini «fricchettoni» fanno un party, un po’, perfino tu con i tuoi «spettacolini di sinistra» e il tuo retaggio filo-marxista, ti ritrovi ad apprezzare i decreti anti rave di Giorgia Meloni.
Fettarappa, com’è nata l’idea di questo spettacolo?
«È nata da un'ossessione, da un vero e proprio tormento. Il tormento, in questo caso, era la destra: volevamo fare uno spettacolo sulla destra. Siccome, però, è difficile farci uno spettacolo, perché la destra se lo fa da sola esibendosi tutti i giorni (nelle piazze, nelle case, nelle televisioni), abbiamo optato per mettere in scena non tanto la destra in generale, ma quella dentro di noi. Abbiamo voluto indagare quella parte fascista e questurina che abita dentro qualsiasi persona, cercando di analizzare i momenti di verità di quella voce politica che parla dentro di noi».
Di Uno spettacolo italiano, parla come fosse una sorta di coreografia, un racconto corale, che mette insieme tanti temi: la solitudine, la precarietà, la perdita dei valori politici. A unire tutto, però, possiamo dire che c’è la crisi identitaria della sinistra?
«Sì, assolutamente. Penso che questo sia uno spettacolo sulla crisi d’identità della sinistra, sulla solitudine di sentirsi all’opposizione di questo governo e anche sull'incapacità della sinistra di figurarsi chi sono davvero gli elettori di destra. Per questo credo che sia simbolica la scena in cui Nicola viene letteralmente posseduto, sul palco, da un personaggio di destra: l'attimo di rovesciamento, in cui la voce della destra dice “guarda come vengo immaginato dall’inconscio di uno di sinistra, come un animale selvaggio”, è proprio rappresentativo dell'incapacità della sinistra di figurarsi quelli che sono i suoi avversari, se non mostrificandoli. O, comunque, ponendoli in una posizione intellettualmente asimmetrica rispetto a loro: questo però impedisce alla sinistra stessa di leggere i reali motivi che hanno portato gli elettori a votare Fratelli d’Italia e a stravincere. Le coreografie, poi, significano anche un’altra cosa».
Cioè?
«Nello spettacolo metto in scena delle situazioni attraverso cui voglio esprimere il senso di esclusione e isolamento che, secondo me, vive oggi l’elettore o il giovane di sinistra. Per esempio, a un certo punto, sono un ragazzo invitato a un rave: cerco in tutti i modi di sentirmi parte di quella dimensione, però io non so ballarla quella musica, non mi drogo, non mi sento a mio agio. Mi rendo conto che per essere preso sul serio devo rispettare un certo tipo di etichetta, appunto una coreografia esteriore da cui non mi sento rappresentato».
Della serie, se i valori di una certa sinistra si svuotano completamente di significato rimangono solo dei comportamenti esteriori a cui aggrapparsi?
«Esattamente, questo è il problema principale della massa di orfani della sinistra che non sanno più a chi rivolgersi per far fronte ai propri problemi: dallo studente precario di lettere all’operaio senza diritti, al lavoratore del terziario che si è visto cancellare l’articolo 18. Tutti si sentono traditi da uno spettro politico che non sa più dare risposte ma che esibisce solo comportamenti e situazioni di collettivismo superficiali: allora, in questo senso, ti senti come se fossi stato escluso dalla festa della sinistra. La destra, invece, è molto più brava».
Perché?
«Perché ha delle idee di comando chiare, molto più semplici: la sostituzione etnica, per esempio, anche se è una paranoia complottista, dunque una semplificazione, fornisce un'interpretazione della realtà che dà delle rassicurazioni. Sì, perché comunque nella paranoia, individuando un nemico, so come posizionarmi, come dare risposta ai miei problemi, mi sento tranquillo».
Al Governo, però, sta a cuore anche la propaganda culturale di valori patriottici e familiaristi, un carattere tipico della destra post-missina (che lei definisce «fascio-friendly») e che la differenzia da quella imprenditoriale e aziendalistica berlusconiana. Pensa che la sinistra si senta spodestata nella sua “egemonia culturale”?
«In parte sì, è il discorso sulla pervasività della narrazione “meloniana”, che nei primi due anni di governo ha voluto produrre un'immagine culturale di sé, fornendo una sua interpretazione del reale e definendosi attraverso un discorso museale e artistico. Penso, per esempio, alla mostra sul futurismo, alla mostra su Tolkien, alla necessità (mai vista prima) di occupare dei luoghi come il Palazzo dell'Esposizione o la Gnam a Roma, che prima erano fortezze culturali della sinistra, ma fortezze, tutto sommato, abbandonate».
Mentre l’esecutivo meloniano ha dato prova di riuscire a gestire i conflitti interni ai suoi partiti di governo, le opposizioni, ad oggi, litigano praticamente su tutto. In cosa sbaglia la sinistra?
«Il problema della sinistra, potremmo dire, da un punto di vista schmittiano, è che non ha capito chi è il suo nemico. Schmidt (filosofo del diritto e giurista tedesco, ndr) dice che tu esisti se hai un nemico, se hai un altro contro cui confrontarti: ecco, se vogliamo interpretarla in questo senso, la sinistra non ha – in questo momento – senso, perché non ha capito chi è il suo nemico. Non ha capito contro chi si sta confrontando e perché. La destra ce li ha molto chiari, i suoi nemici. Immaginari, folli, deboli, perché se la prende coi più deboli, ma sono comunque dei nemici».
Come si colloca questo spettacolo nella costellazione dei suoi ultimi lavori?
«Finora il mio lavoro è stato abbastanza solitario, negli spettacoli come Apocalisse tascabile, o la Sparanoia, io scrivevo e facevo la regia, poi li mettevo in scena con Lorenzo Guerrieri.
Questi due, per me, sono delle specie di enciclopedie di mondo, in cui ho voluto parlare di più temi possibili, un po’ come le monadi di Leibniz dei frammenti del cosmo che ne richiamano altri, convocando alla fine tutto l’insieme delle cose. Poi ci sono lavori come Uno spettacolo italiano con Nicola [Borghesi], o Solo quando lavoro sono felice con Lorenzo Maragoni: ecco questi sono degli spin-off che trattano invece di questioni più specifiche, come la destra o il mercato».
Progetti imminenti?
«Il prossimo lavoro sarà di nuovo uno “spettacolo mondo”, si chiamerà Orgasmo ed è uno spettacolo che immagina che nel 2030 per volontà dell’Unione Europea sarà sancito l'ultimo coito in tutto il mondo e il sesso scomparirà dalla terra. Nel frattempo, c'è un’invasione di orsi in Italia (che rappresentano lo spirito dionisiaco) e c'è una coppia in crisi in salotto che consuma la fine del suo ultimo rapporto. Simbolicamente, l’Ue rappresenta questa entità maligna che vuole estirpare il piacere dall’uomo e trasformarlo soltanto in un oggetto a finalità lavorativa. Il principio di prestazione, insomma, di cui parlava Marcuse, per cui la richiesta di essere sempre funzionali e produttivi nella realtà finisce per uccidere quell’unico momento di estasi e piacere improduttivo, nonché potenzialmente rivoluzionario, che è appunto il sesso e l’amore».
Non te ne andare, anche per questo mese ci siamo segnate le letture più interessanti e qualche nuova uscita.
I consigli di Cronache di rabbia:
Guardando le donne guardare la guerra, libro di Victoria Amelina
La serie Netflix Adolescence di Stephen Graham e Jack Thorne
La stretta ungherese al Pride ha poco a che fare con l’essere gay, articolo di Bea Bakó per Balkan Insight
Femminilità, non femminismo: quando l’antifemminismo diventa un business su TikTok, di Gaia Giorgi per NSS
Alitalia, un laboratorio per i contratti dei dipendenti delle imprese in crisi, inchiesta di Lorenzo Bagnoli e (della nostra!) Sofia Centioni per IRPI Media
Nella catena delle Feltrinelli, articolo di Salvatore Cannavò per Jacobin
Il massacro dei paramedici di Gaza - la timeline, di Lorenzo Tondo e Malak A Tantesh per The Guardian
La violenza ostetrica è già un “problema di salute pubblica”: “È una pandemia” di Teresa Seraphim per Pùblico