Rumore #6
I contenuti sul dimagrimento fai-da-te proliferano su Instagram e TikTok in vista dell'estate, diffondendo notizie false e dannose. La dietista Sara Olivieri spiega come difendersi (e accettarsi).
Questa volta, però, prima di cominciare un piccolo disclaimer: il giorno per votare al referendum e catapultarsi nelle urne è finalmente arrivato. Quindi buona giornata di voto e buona lettura a tuttə!
Dimagrire perché lo vuole l’algoritmo
di Chiara Scipiotti
Tra le poche certezze che ho sul mio algoritmo, col quale ho un rapporto quasi simbiotico, c’è l’irruzione dei contenuti su come dimagrire in vista dell’estate. L’applicazione di una deroga alla regola primaria e autoimposta di Rumore (non scrivere mai in prima persona singolare) è in questo caso necessaria, nella speranza innanzitutto che tale tipologia di contenuti sia una stortura per pochi profili e non una molestia inflitta a chiunque usi i social, in particolare TikTok.
Partiamo da un dato. Secondo un’inchiesta del 2021 del Wall Street Journal, la selezione dei contenuti proposti proprio da TikTok non avverrebbe solo grazie ai mi piace, ai profili seguiti e alle condivisioni, ma anche in base al tempo che l’utente spende su ogni singolo video. Passare al successivo in tempi brevi è in generale interpretato come un segnale di disinteresse, mentre la riproduzione dello stesso video per due o tre volte è catalogata in senso opposto. «In questo modo, l’algoritmo spinge chi guarda verso contenuti sempre più estremi, in modo da incoraggiare l’utente a restare sempre più a lungo sulla piattaforma», afferma Guillaume Chaslot, ex dipendente di YouTube e fondatore di Algotransparency, intervistato dal WSJ. «Si tratta di trovare ciò a cui tu sei vulnerabile, che ti farà guardare e cliccare: questo non significa che quelli più proposti siano i contenuti che ti piacciono, o che vorresti guardare».
Se è vero, in effetti, che la paranoia di dover dimagrire striscia in me silenziosamente e con costanza, è vero anche che nel resto dell’anno i contenuti dedicati al dimagrimento rapido non mi raggiungono quasi mai: è “solo” ogni primavera, per circa tre mesi, che parte puntualmente la grande invasione. Gente che fa pilates, gente che paragona il proprio corpo prima e dopo la dieta, sfide per perdere peso in un mese, richieste di “consigli folli” per perdere dieci chili in dieci giorni, pubblicità di app e integratori mascherate da contenuti user-generated e così via.
Commettendo l’errore di aprire i commenti, poi, si accede a una parata di consigli tra il pericoloso e il fantasioso: “Ho preso la melatonina e ho dormito per giorni per non mangiare”, oppure “mastica e sputa”, “Io ho fatto il digiuno intermittente, mi ha cambiato la vita”, o ancora “Io ho fatto la dieta al contrario”. È un fenomeno abbastanza concreto da essersi guadagnato un nome: lo #SkinnyTok, appunto, quella sezione di TikTok che non fa nulla per scoraggiare i disturbi del comportamento alimentare in nome della magrezza. Lo scorso martedì 3 giugno, peraltro, TikTok ha deciso di bloccare proprio quell’hashtag, per arginare la promozione di contenuti che riguardano l’anoressia.
Siccome il mio algoritmo sa che, di norma, interagisco solo con messaggi body positive, questo carosello dell’orrore è talvolta intervallato da video che invece criticano i contenuti di cui sopra, ricordando poche semplici regole per mangiare bene e restare in salute (che poi è ciò che mi interessa, a scanso di equivoci). Le competenze di chi crea questo secondo tipo di post sono tuttavia molto varie e, talvolta, poco chiare, soprattutto per chi non ha un’idea precisa di cosa sia considerabile sano e scientificamente provato. Districarsi tra le opinioni più o meno autorevoli nel tentativo di non compromettere la propria salute, pertanto, non è né rapido né semplice, e rischia di spingere l’utente medio verso soluzioni miracolose in teoria e inefficaci in pratica.
Secondo la dietista Sara Olivieri, tra le insidie dei contenuti social che parlano di diete e dimagrimento c’è la tendenza umana a fidarsi di opinioni piuttosto che di fatti scientificamente verificati: «Il pericolo è di affidarci a quello che vogliamo sentirci dire perché, diciamocelo: quanto fa comodo leggere che per risolvere qualsiasi situazione basta uno schiocco di dita?», spiega la dietista, che fa anche divulgazione sul suo profilo Instagram @iniziolunedi ed è autrice dell’omonimo libro Inizio lunedì. Come sconfiggere il frigorifero e fare amicizia con lo specchio, edito da Sperling & Kupfer. «È qualcosa di rassicurante, su cui posso esercitare un controllo, che mi promette di non fare tutto quanto di faticoso ho già fatto o sto facendo. È comprensibile, il problema è che poi non funziona».
Un altro dei punti più critici, poi, riguarda il fatto che la comunicazione social è diventata forzatamente sempre più breve, anche per chi fa divulgazione: «Già prima, anche parlando a lungo, qualcosa dovevi tagliare. Se adesso spieghi qualcosa estesamente, il contenuto non viene visto: e quindi, a che cosa serve?»
Dottoressa Olivieri, quali sono innanzitutto le differenze tra dietologo, dietista e biologo nutrizionista? Quale qualifica si deve cercare, in base alle proprie esigenze?
«Non c’è una differenza rispetto alle esigenze in senso stretto, ma rispetto alla provenienza accademica: il dietista viene da una triennale abilitante, facente parte delle professioni sanitarie. Il biologo nutrizionista dovrebbe avere una laurea in Biologia che abbia a che fare con la nutrizione, o quantomeno con la biologia umana, seguito da una magistrale in Scienze della nutrizione umana. Il medico nutrizionista, o dietologo, è invece una persona laureata in Medicina, che abbia fatto la specializzazione in Scienze della nutrizione. Tutte e tre le professioni sono abilitate a occuparsi di nutrizione, prevenzione e, con qualche differenza, di patologie: semplicemente, possono farlo con vincoli diversi».
Cioè?
«Il medico è l’unico che possa fare una diagnosi e prescrivere terapie farmacologiche. Dietisti e biologi nutrizionisti, invece, dovrebbero basarsi sulla prescrizione del medico».
Qual è il metodo migliore per difendersi dai contenuti disinformativi su cibo e dimagrimento che troviamo online?
«Secondo me, ce ne sono tre. Come spiego nel mio prossimo libro, Perché sei sempre a dieta, il primo modo è valutare che chi stiamo ascoltando sia regolarmente iscritto all’albo di competenza. Per ogni professionista della nutrizione, il vincolo fondamentale per poter lavorare è essere iscritti all’albo e aver superato l’esame di Stato: quindi, basta guardare il nome della persona di cui vogliamo verificare l’affidabilità, controllare la qualifica che sostiene di avere e cercarla, appunto, sull’albo di relativa competenza. Se la persona in questione è regolarmente iscritta, dovrà risultare. Questo primo metodo di scrematura permette eventualmente di dire: Okay, ne parli, ma non dovresti [ride, ndr]».
E poi?
«Un secondo criterio è che quanto viene detto non sia solo riportato come opinione, ma che sia riscontrabile da qualche altra parte – meglio ancora se questa ‘altra parte’ sono fonti precise e non ‘persone’ che sostengono la stessa cosa, altrimenti è solo una grande chiacchiera».
Studi scientifici, per esempio?
«Le fonti più facilmente accessibili nell’ambito della nutrizione sono in realtà le linee guida. Non mi piace esortare le persone ad andare a leggere gli studi scientifici: ci ho messo io tre mesi di università a capire come si legge uno studio (e ogni tanto ho ancora qualche dubbio), figuriamoci una persona che nella vita fa altro – con tutto il rispetto, naturalmente. A parte casi particolari, però, se l’informazione ha una fonte ufficiale e un certo margine di ripetibilità, allora è più affidabile di un’opinione».
Menzionava anche un terzo ‘trucco’ per tutelarsi.
«Parto da una citazione della serie Mad Man. C’è una scena in cui il protagonista, che lavora in ambito pubblicitario, deve trovare il modo di vendere le Lucky Strike nonostante sia uscita la notizia che fumare è dannoso. L’idea che gli viene è la seguente: se il fumo è dannoso, la pubblicità non può dire il contrario. Ma può fare un’altra cosa, ovvero concentrarsi su un dettaglio irrilevante, assolutamente slegato dal fatto che il fumo fa male. Nel caso delle Lucky Strike, il dettaglio pubblicitario diventa che però hanno il tabacco tostato.
Il “tabacco tostato” del cibo è che però non ha grassi, però non ha glutine o zuccheri aggiunti, però è coltivato a mano, però viene dall’Italia… è quel dettaglio rassicurante che fa pensare a chi lo sente ‘ma allora questa è la scelta migliore’. Quando vengono proposti metodi simili, è bene farsi venire dei dubbi».
C’è un falso mito che va di moda o è particolarmente radicato?
«L’ossessione negativa per il consumo di carboidrati, non solo rispetto al terrorismo che viene fatto ma anche rispetto a ciò che viene proposto di fare per toglierli. Adesso va di moda il via libera alle uova, si mangiano solo uova – che, per carità di Dio, le abbiamo liberate dal ruolo di portatrici di colesterolo, ma non era un invito a mangiarsene tredici al giorno [ride, ndr]».
Perché questa ossessione?
«Fa leva sulla sensazione di controllo, che è un elemento forte nell’ambito della modulazione del peso. Una tesi, per sembrare vera, deve essere credibile. Il terrorismo sui carboidrati funziona proprio perché succede a tutti che, riducendoli o togliendoli, il peso scenda: il motivo è puramente biochimico e non ha a che fare col dimagrimento, ma è una conseguenza che chiunque può toccare con mano e, per questo, attecchisce. Il cambiamento di peso, invece, è in mano nostra solo in parte e ha un suo margine di imprevedibilità».
È possibile, secondo lei, che parte del problema sia un’educazione insufficiente sul tema?
«Secondo me, tutte le ‘educazioni’ di cui si parla ultimamente – per esempio alimentare, sessuo-affettiva, finanziaria – non possono essere lasciate solo in mano alle famiglie, perché significa lasciare che ognuno di noi continui a gestire alimentazione, relazioni e soldi solo come gli hanno insegnato, che poi è come era stato insegnato a sua volta ai genitori. È invece importante che ci sia un altro punto di vista, non per forza contrario ma semplicemente diverso.
C’è anche un altro tema, però, a mio avviso. Oggi abbiamo una frustrazione di base che tempo fa non c’era: da un lato, il desiderio di avere un certo tipo di fisico (che ci sembra che derivi da quello che mangiamo); dall’altro, sui social siamo bombardati di cibo food porn, gente che cucina, eccetera. E allora, cosa dovremmo fare? Mangiare quello che ci piace, o privarcene per ottenere una determinata forma fisica?»
È un problema di immagine, quindi.
«È che dobbiamo performare su tutto, anche sul cibo. ‘Non puoi’ cucinarti un piatto brutto, ‘non puoi’ non fargli la foto o avere un corpo diverso da quelli canonici, fatti con lo stampino e spesso photoshoppati. Questa è quella che io chiamo la sindrome di Amazon: vediamo la salute come un punto di arrivo, oggi la ordino, domani ce l’ho. Oppure, similmente, vediamo una determinata forma fisica come un obiettivo fisso da raggiungere, dimenticando che il nostro corpo è in continuo cambiamento. E che, banalmente, se ci pesassimo sessanta volte al giorno il nostro peso varierebbe quasi ogni volta, per motivi che a volte non riusciremmo nemmeno a capire».

Non te ne andare, anche per questo mese ci siamo segnate le letture più interessanti e qualche nuova uscita.
I consigli di Cronache di rabbia:
Returning to the scene of my brutal rape, di Sarah Beckwith per The New Yorker
La serie tv Overcompensating su Prime Video
Il decreto sicurezza del Governo Meloni e la svolta autoritaria dell’Italia di Leonardo Bianchi per Valigia Blu
Un brutto clima: le minacce ai giornalisti ambientali in Italia di Marta Frigerio e Gianluca Lima per IrpiMedia
Singolare, femminile ♀ #182: Le ultime di noi, una riflessione di Cristina Resa sulla seconda stagione di The Last of Us
L’integrale - Maschio, Rivista di cibo e cultura edita da Iperborea